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Le autorità iraniane hanno eseguito oltre 1000 condanne a morte nel solo 2025, il numero annuo più alto registrato da Amnesty International in Iran negli ultimi 15 anni. L’Organizzazione chiede l’immediata adozione di una moratoria sulle esecuzioni come primo passo e rivolge un appello urgente agli altri stati affinché esercitino immediatamente pressioni sulle autorità iraniane per fermare tutte le esecuzioni programmate.
In meno di nove mesi il numero delle persone messe a morte dalle autorità iraniane ha già superato il totale terrificante dello scorso anno, pari a 972 esecuzioni.
Dalla rivolta “Donna Vita Libertà” del 2022 le autorità iraniane hanno intensificato l’uso della pena di morte come strumento di repressione di stato per soffocare il dissenso, mentre prosegue l’aumento delle esecuzioni per reati legati alla droga. Nel 2025 le autorità hanno anche intensificato il ricorso alla pena di morte con il pretesto della sicurezza nazionale, dopo l’escalation delle ostilità tra Iran e Israele a seguito degli attacchi militari israeliani del giugno 2025.
“La continua escalation delle esecuzioni in Iran ha raggiunto proporzioni terrificanti, mentre le autorità iraniane continuano a strumentalizzare sistematicamente la pena di morte come mezzo di repressione per schiacciare il dissenso, in un attacco agghiacciante al diritto alla vita”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“La pena di morte è sempre aberrante, in qualunque circostanza, e il suo utilizzo su larga scala, a seguito di processi di solito gravemente iniqui, aggrava ulteriormente la portata dell’ingiustizia. Tra le persone prese di mira con totale impunità vi sono dissidenti politici, membri di minoranze etniche oppresse, persone manifestanti e persone condannate per reati di droga”, ha aggiunto Morayef.
“La comunità internazionale deve agire con decisione e immediatezza per esercitare pressioni sulle autorità iraniane affinché fermino tutte le esecuzioni imminenti, annullino tutte le condanne a morte e impongano una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, in vista dell’abolizione totale della pena di morte. Alla luce dell’impunità sistematica per le esecuzioni arbitrarie, gli stati devono anche intraprendere percorsi concreti per accertare le responsabilità delle autorità iraniane, anche esercitando la giurisdizione universale contro tutti i funzionari ragionevolmente sospettati di responsabilità penale per crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani”, ha concluso Morayef.
Tra le persone a rischio vi sono individui condannati a morte per reati legati alla droga o per accuse vaghe e formulate in modo eccessivamente generico, come “inimicizia contro Dio” (moharebeh), “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) e “ribellione armata contro lo stato” (baghi), a seguito di processi gravemente iniqui davanti ai tribunali rivoluzionari.
Le ricerche di Amnesty International hanno costantemente evidenziato che i tribunali rivoluzionari, competenti per i reati contro la sicurezza nazionale e quelli legati alla droga, non sono indipendenti e infliggono pene severe, comprese le condanne a morte, a seguito di processi gravemente ingiusti. Le persone giudicate da tali tribunali vedono sistematicamente violato il diritto a un processo equo. Il 17 settembre 2025 le autorità iraniane hanno messo a morte arbitrariamente Babak Shahbazi, ritenuto colpevole da un tribunale rivoluzionario nel maggio 2025 dopo un processo gravemente iniquo, durante il quale le autorità non hanno mai indagato sulle sue denunce di tortura e maltrattamenti.
L’uso della pena di morte da parte delle autorità ha colpito in modo sproporzionato minoranze marginalizzate, in particolare appartenenti alle comunità afgana, baluci e curda. Almeno due donne curde, l’operatrice umanitaria Pakhshan Azizi e la dissidente Verisheh Moradi, sono state condannate a morte e rischiano l’esecuzione.
Anche le persone afgane in Iran sono state fortemente colpite da questo aumento. Il numero delle persone afgane messe a morte dalle autorità iraniane è più che triplicato, passando da 25 nel 2023 a 80 nel 2024. Questa tendenza allarmante si accompagna all’aumento della retorica razzista e xenofoba da parte di funzionari iraniani, che è proseguita anche nel 2025, e a un’ondata senza precedenti di espulsioni forzate di massa di persone afgane, comprese quelle nate e vissute in Iran per decenni, rimandate in Afghanistan.
L’aumento costante delle esecuzioni per reati legati alla droga, iniziato nel 2021, è proseguito anche quest’anno, in violazione del diritto internazionale e degli standard internazionali, che vietano categoricamente l’uso della pena di morte per reati di droga.
Dopo l’escalation delle ostilità tra Iran e Israele alcuni alti funzionari, tra cui il capo del potere giudiziario Gholamhossein Mohseni Eje’i, hanno invocato processi ed esecuzioni rapide per chi “sostiene” o “collabora” con stati ostili, tra cui Israele. Il parlamento iraniano ha anche approvato una proposta di legge che, se confermata dal Consiglio dei guardiani, amplierebbe l’uso della pena di morte includendo accuse formulate in modo vago legate alla sicurezza nazionale, come “cooperazione con governi ostili” e “spionaggio”, in linea con queste inquietanti richieste da parte dei funzionari.
Dal 13 giugno 2025 almeno dieci uomini sono stati messi a morte per accuse motivate da ragioni politiche, tra cui almeno otto accusati di spionaggio a favore di Israele. Amnesty International ha documentato decine di altri casi di persone a rischio di esecuzione per accuse analoghe, tra cui lo studioso svedese-iraniano Ahmadreza Djalali e la difensora dei diritti delle donne e dei lavoratori Sharifeh Mohammadi, la cui condanna a morte è stata confermata dalla sezione 39 della Corte suprema nell’agosto 2025.
Amnesty International si oppone in ogni circostanza alla pena di morte. Essa rappresenta una violazione del diritto alla vita, sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, ed è la punizione più crudele, disumana e degradante.