Nigeria, la Corte suprema esamina il caso del musicista “blasfemo”

3 Ottobre 2025

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Dopo cinque anni di carcere, alla fine di settembre si è svolta la prima udienza, presso la corte suprema della Nigeria, in cui sarà esaminato il ricorso contro la condanna a morte di Yahaya Sharif-Aminu, giudicato colpevole di aver inoltrato tramite WhatApp un suo brano musicale “blasfemo”: parlava di un imam sufi particolarmente riverito nel XIX secolo.
Non è iniziata esattamene bene, poiché l’avvocato della pubblica accusa ha dichiarato che “lo metteremo a morte pubblicamente”.
Yahaya Sharif-Aminu è un giovane musicista sufi condannato all’impiccagione il 10 agosto 2020 nello stato di Kanu per aver condiviso un suo brano giudicato offensivo nei confronti di Maometto, per il mero fatto che l’imam cui era dedicata la composizione veniva considerato di grado superiore al profeta dell’Islam. Era stato arrestato cinque mesi prima, quando si era scoperto il fatto e la sua abitazione era stata datata alle fiamme da una folla di facinorosi.
Nel gennaio 2021 la condanna a morte era stata annullata per irregolarità procedurali, non ultima quella che l’imputato era stato processato senza un avvocato difensore. Da lì è partita una disputa legale sull’opportunità o meno di svolgere un nuovo processo, che è arrivata ora all’attenzione del massimo organo della giustizia nigeriana.
Gli avvocati che assistono Yahaya Sharif-Aminu chiedono non solo che il loro assistito sia assolto ma anche che le leggi sulla blasfemia in vigore nello stato di Kanu e in altre zone della Nigeria settentrionale dove vigono i codici islamici siano dichiarate incostituzionali in quanto violano i diritti alla libertà di religione e alla libertà d’espressione delle minoranze cristiane e dei musulmani considerati “eretici”.
A un pronunciamento del genere è arrivata quest’anno la Corte della economica degli stati dell’Africa occidentale.