Photo AFP via Getty Images
Tempo di lettura stimato: 13'
Amnesty International ha raccolto nuove testimonianze, fornite da persone fuggite da El Fasher, sulle uccisioni di numerosi civili disarmati e sullo stupro di decine di donne e ragazze dopo che, il 26 ottobre 2025, i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Fsr) hanno conquistato la città dello stato sudanese del Darfur settentrionale.
Le persone intervistate hanno riferito di aver assistito al pestaggio e all’uccisione di persone e al rapimento di altre a scopo di riscatto. Le sopravvissute hanno raccontato di essere state sottoposte a violenza sessuale da parte delle Fsr, a volte insieme alle loro figlie. Lungo le strade di El Fasher e nelle principali vie d’uscita dalla città giacevano centinaia di cadaveri.
Queste terribili testimonianze sono tra le prime rese dalle persone fuggite da El Fasher dopo la caduta della città. Amnesty International ne ha raccolte 28, in parte in presenza in Ciad e in parte da remoto, di chi era riuscito a mettersi in salvo a Tawila (a ovest di El Fasher) e a Tina (al confine col Ciad).
“Il mondo non deve girarsi dall’altra parte via via che emergono nuovi dettagli sul brutale attacco delle Fsr ad El Fasher. Le persone che abbiamo intervistato ci hanno descritto orrori inimmaginabili”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Nelle prossime settimane emergeranno altre prove delle violenze commesse dalle Fsr. Queste azioni costanti e di vasta portata contro la popolazione civile sono crimini di guerra e possono costituire anche ulteriori crimini di diritto internazionale, i cui responsabili devono essere chiamati a risponderne”, ha aggiunto Callamard.
“Queste atrocità sono state facilitate dal sostegno fornito alle Fsr dagli Emirati Arabi Uniti, che stanno alimentando un ciclo senza fine di violenza contro la popolazione civile sudanese. La comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite devono pretendere che gli Emirati Arabi Uniti pongano fine a tale sostegno”, ha sottolineato Callamard.
“È doveroso che la Missione di accertamento dei fatti in Sudan, istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, abbia le risorse necessarie per svolgere fino in fondo il suo mandato e indagare sulle violazioni dei diritti umani nel paese, comprese quelle che stanno avendo luogo a El Fasher. Il Consiglio di sicurezza, che aveva deferito la situazione nel Darfur alla Corte penale internazionale, deve ora assolutamente deferire alla Corte ciò che sta avvenendo in tutto il Sudan”, ha proseguito Callamard.
“Sollecitiamo a loro volta tutti gli attori esterni a prendere le misure necessarie per porre fine alla vendita e alla fornitura di armi e relativo materiale a tutte le parti in conflitto, secondo quanto previsto dall’embargo istituito dal Consiglio di sicurezza, che dev’essere ora esteso a tutto il Sudan”, ha commentato Callamard.
L’organizzazione per i diritti umani si sta inoltre rivolgendo agli attori regionali e internazionali – gli stessi Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Consiglio di sicurezza, l’Unione europea e i suoi stati membri, l’Unione africana, l’Autorità intergovernativa sullo sviluppo, il Regno Unito, gli Stati Uniti d’America, la Russia e la Cina – affinché esercitino urgenti pressioni diplomatiche sui capi delle Fsr perché queste pongano fine ai loro attacchi contro i civili, compresa la violenza sessuale contro le donne e le ragazze.
“Mentre il conflitto va avanti, le storie raccontateci dalle persone sopravvissute forniscono un’ulteriore prova del fallimento della comunità internazionale in Sudan. Occorre raddoppiare gli sforzi per assicurare che i responsabili di crimini di diritto internazionale siano chiamati a risponderne, per proteggere le persone in pericolo e per chiedere a tutti gli stati che, direttamente o indirettamente, stanno appoggiando il conflitto o rafforzando le Fsr, di cambiare atteggiamento”, ha concluso Callamard.
Il 26 ottobre, giorno della caduta di El Fasher, in città restavano intrappolate circa 260.000 persone.
Ahmed*, 21 anni, ha tentato di fuggire con la moglie, due figli piccoli e il fratello maggiore a seguito di un gruppo di soldati delle Forze armate sudanesi (Fas, l’esercito regolare) che avevano abbandonato le loro postazioni.
Dopo che la moglie era stata uccisa da un frammento di un proiettile caduto nelle vicinanze ed era rimasto separato dai due figli, Ahmed* e il fratello hanno continuato a spostarsi verso nord. Lungo il cammino hanno preso con loro due bambine di tre e quattro anni i cui genitori erano stati uccisi. Hanno raggiunto Golo, alla periferia di El Fasher, insieme ad altri tre uomini e a una donna anziana, quando sono caduti in un’imboscata delle Fsr:
“Ci hanno chiesto se fossimo soldati o civili e abbiamo risposto che eravamo civili. Loro hanno replicato: ‘Qui non ci sono civili, sono tutti militari’. Hanno ordinato a mio fratello e agli altri tre uomini di sdraiarsi a terra e li hanno uccisi”.
Per ragioni che non ha compreso, Ahmed*, le due bambine piccole e la donna anziana sono stati risparmiati. Durante la ripresa del cammino, la donna anziana è morta probabilmente per disidratazione. Ahmed* e le due bambine hanno raggiunto Tawila, a 60 chilometri di distanza da El Fasher.
Daoud*, 19 anni, ha lasciato El Fasher con sette amici vicini di casa. Il gruppo è stato bloccato dalle Fsr nella zona desertica che delimita la città:
“Ci sparavano da tutte le direzioni. Ho visto i miei amici morire davanti a me”.
Khalil*, 34 anni, è fuggito da El Fasher il 27 ottobre. Dopo aver superato la zona desertica, è stato fermato con altre 20 persone da un convoglio di auto delle Fsr:
“Ci hanno ordinato di sdraiarci a terra poi due di loro hanno aperto il fuoco. Hanno ucciso 17 delle 20 persone che erano con me. Sono sopravvissuto fingendomi morto. Nessuna delle persone uccise era un soldato armato”.
Badr*, 26 anni, è rimasto ad El Fasher fino al 26 ottobre con suo zio, che era ricoverato all’Ospedale saudita a causa di una ferita da arma da fuoco a una gamba. Il giorno dopo ha recuperato un carretto e un asino per trasferire fuori città lo zio, altri due degenti anziani e i loro parenti.
Quando hanno raggiunto il villaggio di Shagara, 20 chilometri a ovest di El Fasher, sono stati circondati da veicoli delle Fsr. I combattenti hanno ammanettato gli uomini e hanno ordinato a quelli più giovani e che non avevano ferite di salire nella parte posteriore del pick-up. Poi hanno ordinato di fare lo stesso ad altre tre persone, sui 50 anni e gravemente ferite.
“Si notava che pensavano stessero sprecando il loro tempo. Uno di loro è sceso e ha aperto il fuoco con un fucile automatico. Li ha uccisi e poi ha ucciso l’asino. Si divertivano e ridevano”.
Badr* è stato bendato e portato con altri cinque superstiti in un villaggio vicino, poi dopo tre giorni il gruppo è stato spostato in un altro luogo a mezz’ora di distanza. Lì, Badr* ha potuto fare una telefonata ai suoi genitori ma solo per dir loro che le Fsr pretendevano un riscatto di oltre 20 milioni di sterline sudanesi (circa 8500 euro).
Durante la prigionia, Badr* ha visto un combattente delle Fsr filmare l’uccisione di un uomo che era al telefono coi suoi parenti. Era uno dei tre fratelli la cui famiglia ancora non aveva potuto pagare il riscatto:
“Hanno ripreso con la telecamera l’uccisione di uno dei tre fratelli con un colpo alla testa e poi hanno detto ai parenti al telefono: ‘Se non ci mandate i soldi al più presto, uccideremo anche gli altri due e neanche verrete a saperlo’”.
Ibtisam* ha lasciato il quartiere di Abu Shoul la mattina del 27 ottobre insieme ai suoi cinque figli e, con alcuni vicini di casa, si è incamminata a ovest, verso Golo. Il gruppo è stato bloccato dalle Fsr:
“Uno mi ha costretta ad andare con loro, ha lacerato la mia jalabiya [un abito tradizionale] e mi ha stuprata. Quando sono andati via si è avvicinata una delle mie figlie, di 14 anni. I suoi vestiti erano strappati e insanguinati, i capelli dietro la testa erano pieni di polvere”.
La figlia di Ibtisam* è rimasta in silenzio per alcune ore fino a quando ha visto la mamma piangere:
“Mi ha detto: ‘Mamma, hanno stuprato anche me ma non dirlo a nessuno’. Dopo lo stupro, mia figlia si è ammalata. Quando abbiamo raggiunto Tawila l’hanno ricoverata ma è morta”.
Khaltoum*, 29 anni, ha cercato di fuggire da El Fasher il pomeriggio del 26 ottobre insieme alla figlia di 12 anni e insieme ad altre 150 persone. Il gruppo ha raggiunto la zona chiamata “Babul Amal”, al confine occidentale della città, dove è stato fermato dalle Fsr. Le donne sono state separate dagli uomini e cinque di questi sono stati uccisi.
Khaltoum*, la figlia e altre 20 donne sono state costrette a percorrere dieci chilometri a piedi fino al campo profughi di Zamzam. Qui le Fsr hanno preso da parte le donne più giovani ordinando loro di disporsi in fila per essere perquisite.
“Hanno preso me e altre 11. Un uomo armato e un altro senza armi mi hanno portato in un rakuba [un rifugio provvisorio] dove mi hanno perquisita. Sono rimasta lì tutto il giorno e sono stata stuprata tre volte dall’uomo privo di armi, mentre quello armato guardava. Mia figlia non è stata stuprata ma le altre 10 donne sì”.
Il conflitto tra le Fsr e le Fas è iniziato nell’aprile del 2023. Ha causato la morte di decine di migliaia di persone e lo sfollamento di oltre 12 milioni, dando luogo alla più grande crisi umanitaria del mondo.
Amnesty International ha documentato crimini di guerra commessi dalle Fsr e dalle milizie arabe loro alleate nel corso di attacchi congiunti su base etnica contro la popolazione masalit e altre comunità non arabe nel Darfur occidentale. L’organizzazione per i diritti umani ha anche documentato violenze sessuali di massa da parte delle Fsr che costituiscono crimini di guerra e possono costituire anche crimini contro l’umanità.
Amnesty International ha anche provato come il conflitto in Sudan sia alimentato da un costante afflusso di armi, in palese violazione dell’embargo vigente per quanto riguarda il Darfur, soprattutto da parte degli Emirati Arabi Uniti in favore delle Fsr.
Nota: per ragioni di sicurezza i nomi delle persone intervistate sono stati cambiati