Aggiornamento 24/9/2025 – Ahmadreza Djalali è stato nuovamente trasferito nel carcere di Evin.
Aggiornamento 24/6/2025 – Ahmadreza Djalali è stato trasferito dal carcere di Evin a un altro luogo al momento ignoto.
Aggiornamento 8/5/2025 – Ahmadreza Djalali è stato colpito da un infarto nel carcere di Evin, a Teheran, dove c’è solo un ambulatorio e non possono essere garantite cure adeguate. Chiediamo alle autorità iraniane di fornirgli tutte le cure di cui ha bisogno, inclusa la visita cardiologica.
L’accademico svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, detenuto arbitrariamente in Iran dal 2016, è a grave rischio di esecuzione dopo aver esaurito tutte le vie legali per annullare la sua condanna a morte.
Docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria, ha insegnato nelle università di Belgio, Italia e Svezia. È stato arrestato arbitrariamente il 25 aprile 2016 mentre era in viaggio d’affari in Iran e accusato di spionaggio.
Djalali ha subito diverse violazioni dei suoi diritti fondamentali, come l’isolamento prolungato, la negazione dell’accesso a un avvocato, tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte, al fine di estorcergli una “confessione”.
Ahmadreza Djalali ha sempre negato le accuse contro di lui e sostiene che siano state fabbricate dalle autorità.
Dal 26 giugno al 4 luglio 2024, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro il perdurare della sua detenzione arbitraria dopo lo scambio di prigionieri tra Iran e Svezia del 15 giugno 2024.
Le autorità iraniane devono annullare la condanna e la pena di morte di Ahmadreza Djalali, inflitte in seguito a un processo gravemente iniquo, e scarcerarlo immediatamente.
Head of the Judiciary
Gholam-Hossein Mohseni Ejei
c/o Embassy of Iran to the European Union,
Avenue Franklin Roosevelt No. 15,
1050 Bruxelles, Belgium
Egregio Sig. Gholamhossein Mohseni Ejei,
L’accademico e medico svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, detenuto arbitrariamente in Iran dall’aprile 2016 e condannato a morte a seguito di un processo gravemente iniquo, è stato sottoposto a sparizione forzata, un crimine secondo il diritto internazionale. Il 24 giugno 2025, circa otto uomini hanno fatto irruzione nella sezione in cui era detenuto nel Penitenziario centrale di Teheran, lo hanno ammanettato e condotto in un luogo ignoto senza fornirgli alcuna informazione sul suo destino. Considerata la condanna a morte che pesa su di lui, ha temuto per la propria vita e di essere sottoposto a un’imminente esecuzione segreta. Vivendo un’esperienza altamente traumatica e spaventosa.
Ahmadreza Djalali aveva comunicato con la sua famiglia per l’ultima volta il 23 giugno 2025, quando ha fatto una breve telefonata dopo i bombardamenti mirati dell’esercito israeliano sulla prigione di Evin a Teheran. Dopo gli attacchi aerei, le autorità hanno trasferito circa 180 prigionieri uomini da Evin al Penitenziario centrale di Teheran. Secondo informazioni ricevute dalla famiglia di Ahmadreza Djalali da una fonte attendibile, lui era tra i trasferiti, ma il 24 giugno 2025 è stato improvvisamente portato in un luogo sconosciuto. Da quel giorno è stato sottoposto a sparizione forzata fino al 25 settembre 2025, quando è riuscito a comunicare con la famiglia e a raccontare che è stato portato prima in una struttura di detenzione militare, dove è rimasto per quattro giorni senza ricevere alcuna informazione, definendo quel periodo “molto duro”. Successivamente è stato trasferito, sempre senza spiegazioni, in un luogo che lui ha descritto come “un appartamento”, dove è rimasto fino al 24 settembre, quando è stato riportato a Evin.
Nel corso del 2025, la salute di Ahmadreza Djalali è peggiorata ulteriormente, anche a seguito di un infarto a inizio maggio 2025, mentre le autorità continuavano a negargli cure mediche adeguate, aumentando il timore per la sua vita e salute durante la sparizione forzata. Durante questo periodo è stato sottoposto ad esami medici a causa di dolori allo stomaco, ma non si hanno notizie sulle cure ricevute. La sua salute desta ancora molte preoccupazioni.
Nell’ottobre 2017, un Tribunale rivoluzionario lo ha condannato a morte per “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) dopo un processo gravemente iniquo basato su accuse infondate di collaborazione e comunicazione con Israele, che lui ha ripetutamente negato. La detenzione di Ahmadreza Djalali è arbitraria a causa delle gravi violazioni dei suoi diritti a un processo equo, tra cui la presunzione di innocenza, il diritto a non autoincriminarsi, a essere giudicato da un tribunale indipendente e imparziale, ad avere accesso a un avvocato fin dal momento dell’arresto, a un’adeguata difesa, a essere protetto da torture e maltrattamenti e a contestare in modo significativo la legittimità della sua detenzione.
Le chiedo di fermare qualsiasi piano di esecuzione, annullare la sua condanna e la sentenza di morte e a scarcerarlo immediatamente e senza condizioni. In attesa della scarcerazione, deve avere accesso regolare e immediato alla famiglia, agli avvocati, a cure mediche adeguate e deve essere protetto da ulteriori torture e maltrattamenti. È necessario avviare indagini rapide, indipendenti, efficaci e imparziali contro chiunque sia sospettato di ordinare, commettere, assistere o favorire atti illeciti, e portare tali sospettati davanti alla giustizia attraverso processi equi. Va inoltre istituita una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, con l’obiettivo di abolire definitivamente la pena di morte.
Distinti saluti,
Le circostanze della grazia concessa ad Hamid Nouri dal governo svedese e del suo ritorno in Iran il 15 giugno 2024 confermano le precedenti preoccupazioni di Amnesty International, secondo cui le autorità iraniane avrebbero tenuto in ostaggio cittadini svedesi per scambiarli. Il cittadini svedese Johan Floderus e Saeed Azizi con doppia cittadinanza sono tornati in patria il 15 giugno 2024 dopo aver subito una litania di violazioni dei diritti umani in Iran. Amnesty International aveva già affermato che la decisione del governo svedese di scarcerare Nouri contribuisce alla crisi di impunità in Iran e incoraggia le autorità iraniane a commettere ulteriori crimini di diritto internazionale, tra cui la presa di ostaggi, senza temere conseguenze. Questa decisione mina il diritto alla giustizia e alla riparazione per i sopravvissuti e le famiglie delle vittime e solleva preoccupazioni circa l’impegno del governo svedese a rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale.
Amnesty International aveva da tempo denunciato che le autorità iraniane tenevano Ahmadreza Djalali in ostaggio e minacciavano di metterlo a morte per costringere terzi a scambiarlo con ex funzionari iraniani condannati e/o sotto processo all’estero. Il 19 dicembre 2023, la Corte d’appello di Svea Hovrätt ha confermato la condanna all’ergastolo per Hamid Nouri emessa dal Tribunale distrettuale di Stoccolma l’anno precedente. Il giorno successivo i media di stato iraniani hanno mandato in onda un video di propaganda con le “confessioni” forzate di Ahmadreza Djalali registrato molti anni prima. In una lettera scritta dal carcere nell’agosto 2017, infatti, Ahmadreza Djalali ha affermato che durante quel periodo è stato sottoposto a torture e altri maltrattamenti per costringerlo a “confessare” di essere una spia, comprese le minacce di metterlo a morte, uccidere o fare altrimenti del male ai suoi figli che vivono in Svezia, e a sua madre che viveva in Iran ed è morta nel 2021. Nella stessa lettera, Djalali scriveva di essere detenuto solo per il suo rifiuto di usare i suoi legami accademici in istituzioni europee per fare la spia per le autorità iraniane. Il video di propaganda del 20 dicembre 2023 includeva le “confessioni” forzate di Habib Chaab, un cittadino svedese-iraniano messo a morte in segreto il 6 maggio 2023 dalle autorità.
Ahmadreza Djalali è uno dei più importanti ricercatori iraniani, arrestato e condannato a morte. Ma non è l’unico: le proteste degli ultimi mesi hanno visto un incremento di arresti, torture, condanne. Cosa sta succedendo nel paese? Lo scopriamo nella puntata “La spia” di Ellissi, il podcast con la voce di Gianmarco Saurino, protagonista di un intenso incontro coi famigliari dell’accademico.
Ellissi è un podcast prodotto da Emons Record e Amnesty International Italia
Testi di Giuseppe Paternò Raddusa
L’articolo 14 (3) del Patto internazionale dei diritti civili e politici (ICCPR), di cui l’Iran è Stato parte, garantisce il diritto dei detenuti ad avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della propria difesa e a comunicare con un avvocato di propria scelta. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato: “Il diritto di comunicare con un difensore richiede che all’imputato sia concesso un rapido accesso a un avvocato.” Secondo il diritto internazionale, un ritardato accesso all’assistenza legale può essere autorizzato solo in circostanze eccezionali, deve essere prescritto dalla legge e limitato ad occasioni in cui si ritiene indispensabile per mantenere la sicurezza e l’ordine. Tuttavia, anche in questi casi limitati, l’accesso non dovrebbe essere ritardato di più di 48 ore dal momento dell’arresto o detenzione”.
Il codice di procedura penale 2015 dell’Iran prevede una disposizione che dà diritto agli imputati di chiedere un avvocato al momento dell’arresto e richiede alle autorità di informare l’imputato di questo diritto. Tuttavia, il mancato rispetto di tali diritti non pregiudica la validità delle indagini, consentendo ai tribunali di contare su elementi raccolti durante le indagini condotte senza la presenza di un avvocato. Inoltre, ai sensi dell’articolo 48 del codice, gli individui con accuse legate alla sicurezza nazionale non sono autorizzati ad accedere a un avvocato indipendente di loro scelta per l’intera fase dell’indagine e possono selezionare i loro avvocati solo da un elenco di avvocati approvato dal procuratore. Amnesty International ha documentato numerosi casi in cui l’ufficio del procuratore ha utilizzato l’articolo 48 del codice per evitare che i detenuti potessero accedere ad avvocati di propria scelta, dicendo loro che non erano nella lista degli avvocati approvati dal capo della magistratura, anche se nessuna lista ufficiale è ancora stata emessa.
134 premi Nobel hanno scritto questa lettera aperta per chiedere a la liberazione di Ahmadreza Djalali.
Egregia Guida suprema Ayatollah Ali Khamenei,
a partire dal novembre del 2017 Le ho scritto a nome di un gruppo di premi Nobel in riferimento alla difficile condizione di uno studioso di medicina, il dottor Ahmadreza Djalali, arrestato durante una visita accademica a Teheran nell’aprile 2016.
Le abbiamo scritto di nuovo nel 2018 e le adesioni hanno continuato a crescere.
In allegato troverà un elenco di 134 premi Nobel che ora sostengono questa causa.
Ci permettiamo di sollecitarLa a seguire personalmente questo caso e ad assicurarsi che il dottor Djalali sia trattato con umanità e correttezza e che venga rilasciato prima possibile.
Le chiediamo rispettosamente di dare indicazioni alle autorità iraniane affinché esse permettano che il dottor Djalali torni a casa da sua moglie e dai suoi figli e possa continuare a svolgere il suo lavoro accademico a beneficio dell’umanità.
Con i miei più rispettosi saluti.
Sir Richard Roberts Ph.D., F.R.S
La lista completa dei premi Nobel.