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In Messico la ricerca di oltre 128.000 desaparecidos è compromessa da mille ostacoli e ritardi. A portarla avanti sono gruppi di donne, che rischiano la vita per recuperare notizie (e, purtroppo, spesso solo corpi) dei propri cari.
Secondo un rapporto di Amnesty International, 16 donne sono state assassinate proprio mentre cercavano disperatamente informazioni e, con esse, la verità. Tantissime altre (il 97 per cento delle 600 intervistate dall’organizzazione per i diritti umani per redigere il rapporto) hanno subito minacce, estorsioni, aggressioni, rapimenti, torture e violenza sessuale, sono state costrette a trasferirsi altrove o sono scomparse a loro volta.
Essere donna ed essere povera fa tutta la differenza del mondo quando si tratta di cercare le persone scomparse. Così come se a sparire (magari a seguito di un rapimento a scopo di riscatto) è un uomo ricco: le ricerche vengono avviate velocemente e giungono rapidamente a una conclusione, spesso positiva; se la persona scomparsa è un attivista di una comunità oppressa, a volte le indagini non vengono neanche aperte e la verità non viene mai a galla.
Una donna su due alla ricerca dei desaparecidos ha subito discriminazioni di varia natura a causa della condizione economica, dell’appartenenza a comunità native o dell’origine migratoria. La stessa proporzione emerge per quanto riguarda la stigmatizzazione e la re-vittimizzazione da parte delle autorità e persino delle famiglie.
Sessanta donne su cento hanno avuto conseguenze sul piano familiare, finendo così per essere le uniche percettrice di reddito (quando ce n’è uno), le sole persone a prendersi cura dei figli e continuando contemporaneamente a cercare i parenti scomparsi. L’impatto fisico e soprattutto mentale (depressione, insonnia, ansia, attacchi di panico, insorgenza di problemi di salute) è ampiamente sottovalutato dai servizi sanitari.
C’è poi la sensazione di essere state tradite dalle autorità. In altri stati del mondo sono le istituzioni a effettuare le ricerche delle persone scomparse. In Messico no: sono le donne a dover rimediare e usare zappe e secchi e a scavare con le proprie mani quando viene individuata una fossa comune, spesso in zone pericolose.
Questa sensazione fa sì che solo il 17 per cento delle donne intervistate da Amnesty International si si sia rivolta alla giustizia quando ha ricevuto minacce o ha subito violenza. Il Meccanismo federale di protezione dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti fornisce qualche misura di protezione ma solo alle persone in qualche modo note.
La procura federale e quelle dei singoli stati applicano procedure contrarie agli standard internazionali, pretendendo di aspettare 72 ore della scomparsa di una persona prima di presentare una denuncia.
“Mia figlia era scomparsa da due giorni e mi hanno detto di aspettare ancora, che magari se la stava spassando col suo fidanzatino”, ha raccontato una madre dello stato di Chihuahua, che ha chiesto l’anonimato.
A funzionare male è anche il Meccanismo di sostegno per la ricerca e le indagini delle persone straniere: dovrebbe teoricamente assistere i familiari delle persone migranti scomparse mentre erano in Messico ma neanche dà il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai familiari che vogliono cercare personalmente notizie dei propri cari.