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Nell’est della Repubblica democratica del Congo il Movimento 23 marzo, sostenuto dal Ruanda, e la coalizione Wazalendo, armata dall’esercito regolare congolese, stanno commettendo violazioni dei diritti umani – tra cui, stupri di gruppo – ai danni della popolazione civile di tale gravità da poter essere considerate crimini di guerra.
Lo ha denunciato un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, parlando di una “brutalità che non conosce limiti, applicata dai due gruppi solo per controllare i rispettivi territori”.
Il rapporto si basa su interviste a oltre 50 persone: sopravvissute a stupri di gruppo, familiari di vittime di esecuzioni sommarie, sparizioni e torture, professionisti sanitari, difensori dei diritti umani, avvocati, attivisti della società civile, giornalisti e operatori umanitari.
Delle 14 sopravvissute alla violenza di gruppo nel Kivu settentrionale e nel Kivu meridionale, otto hanno attribuito lo stupro al Movimento 23 marzo, cinque alla coalizione Wazalendo e una ai soldati dell’esercito congolese.
Gli stupri di gruppo commessi da uomini del Movimento 23 marzo, riconosciuti per le loro uniformi, sono avvenuti tra marzo e maggio di quest’anno, quando il gruppo armato ha preso il controllo delle città di Goma e di Bukavu. In quel periodo ha anche attaccato ospedali e rapito pazienti, ucciso un gran numero di civili e torturato e fatto sparire attivisti della società civile.
“Quando vedo qualcuno in uniforme militare, mi torna il trauma. Da allora, non esco di casa. Quando li vedo, ho le palpitazioni”, ha raccontato Beatrice (nome di fantasia), stuprata da cinque uomini in una base militare del Movimento 23 marzo.
Gli stupri commessi dalla coalizione Wazalendo, sempre nelle due regioni del Kivu, sono avvenuti in un periodo di tempo più ampio, segno di una prassi purtroppo consolidata e impunita: due nel gennaio 2024, tre tra febbraio e aprile 2025.
Una delle sopravvissute ha riferito di essere stata legata tra due alberi e violentata da sei persone che le urlavano “Lo facciamo a te in modo che loro [il Movimento 23 marzo] non lo facciano ad altre”.
Lo stupro di gruppo che chiama in causa i soldati dell’esercito regolare congolese è avvenuto a Bukavu nel febbraio di quest’anno, prima che la città cadesse nelle mani del Movimento 23 marzo: una donna incinta è stata stuprata da due soldati nella stessa abitazione in cui si trovava, bloccata in un’altra stanza, sua figlia di 14 anni.
Oltre agli stupri di gruppo, c’è tutto il resto.
Nel marzo 2025 un attivista della società civile è stato interrogato da un combattente del Movimento 23 marzo sui temi di cui si erano occupato in passato. È stato frustato in cella per due notti consecutive.
“Era come se già sapessero tutti di noi. Mi hanno frustato, picchiato sul petto, preso a schiaffi sulle orecchie”, ha raccontato.
Due mesi dopo Aloys Bigirumwami, attivista del movimento giovanile Lotta per il cambiamento, è stato bloccato e costretto a salire su un veicolo. Da allora non si sono avute più sue notizie. Molti corpi di persone rapite dal Movimento 23 marzo sono stati ritrovati con la gola tagliata.
Il 19 luglio a Doha, capitale del Qatar, rappresentanti del governo congolese e del Movimento 23 marzo hanno firmato una “dichiarazione di principi” con la quale si sono impegnati a raggiungere un accordo definitivo di pace in linea con quanto già concordato a Washington il 27 giugno tra inviati dei governi della Repubblica democratica del Congo e Ruanda.
Amnesty International ha scritto all’esercito congolese e a rappresentanti del Movimento 23 marzo segnalando le violazioni dei diritti umani a loro carico su cui aveva svolto le proprie ricerche. Non ha ricevuto alcuna risposta.